Gregory Halpern / ZZYZX
Uno dei libri amati dal Baretto. L’altra sera, nella settimanale riunione della locale sezione “impariamo a leggere quegli strani libri con le figure” l’abbiamo sfogliato e risfogliato di nuovo. Riscoprendo una verità generale: sgranare a lungo avanti e indietro il rosario delle pagine, meglio se non da soli, è un buon metodo per entrare nei libri di fotografia contemporanea con tutto il proprio corpaccione gestuale e immaginario, trasportandolo nel regno bidimensionale dell’immagine e facendolo “provare” a muoversi dentro. (Ok, anche leggere qualche buona recensione aiuta…)

E purché il libro sia buono – e altroché se questo è buono! – è anche il modo per rintracciare un po’ alla volta e fisicamente le forme ricorrenti, riconoscere la coerenza nelle scelte circa i pieni e i vuoti, le linee di forza e di contrasto, le luci, vedere come da questi elementi emerga la tipicità dell’approccio ai soggetti, e in che modo alluda a mappe di azioni possibili o di risultati immaginari (quello che viene malamente definito “il simbolico”, o “l’inconscio”) e naturalmente arrivare ai temi che ritornano, presentati attraverso le tracce delle presenze incontrate, le loro somiglianze e differenze e il ritmo di tutto il lavoro.

Così, pensiamo, si scopre come il sottofondo documentario e “banale” (pura traccia di quel che era lì raccolta da un punto determinato) che tiene assieme tutto il campo sterminato del fotografico e i suoi mille usi funzionali, memoriali, relazionali si converta e ripieghi a volte in una specificità poetica, in un mondo coerente tenuto in palmo di mano, in un “parlar di sé parlando d’altro (e viceversa)”. Perché si parte sempre dal banale, da “ciò che persino una macchina saprebbe fare”: non c’è altro materiale di partenza, in fotografia.

(per acquistarlo: Micamera)