Batia Suter è un’artista che vive ad Amsterdam, di nazionalità olandese e origini svizzere.
La Suter è nota per i suoi lavori sulla ricontestualizzazione di “foto trovate” o prelevate da precedenti pubblicazioni; concentrandosi sulla sequenza delle immagini realizza libri e produce monumentali stampe digitali manipolate per istallazioni site specific.
Nominata per il Deutsche Börse Photography Foundation Prize 2018, è stata esposta, tra gli altri, alla Photographer Gallery di Londra.
La genesi del suo percorso artistico, centrato sulla relazione con le immagini e delle immagini tra di loro, inizia durante l’infanzia quando, da bambina, ama sfogliare libri e guardare immagini. Da studente inizia a produrre foto in bianco e nero ma nel contempo colleziona libri di immagini, con l’intento di avere dei riferimenti da copiare: le capita di comprare un libro anche solo per la presenza di una fotografia e questo le fa capire che, per lei, il punto non è che un’immagine sia prodotta con la pittura, il disegno o con la fotocamera, ma che possa funzionare da punto di partenza verso un’altra immagine. Inizia così a scansionare le innumerevoli immagini che raccoglie in giro, prevalentemente di uso comune, creando un vasto archivio che utilizza come base di partenza per creare accostamenti spontanei, non basati su un pensiero cosciente. Il suo lavoro riceve da subito inaspettati apprezzamenti: le persone cui mostra la sua collezione le chiedono delle stampe di quelle sequenze perché condividono con lei lo stesso interesse e piacere nel fruire delle immagini riunite in quel modo.
L’artista inizia a riflettere sulle regole e sui meccanismi alla base di questo processo di accostamento. Inizia a dividerle per argomenti e scopre di essere attirata dalle imperfezioni e dagli errori. È come, dice, se il cervello reagisse in maniera diversa di fronte a un’immagine ben riuscita rispetto a una che contenga degli errori che disturbano la ricezione. Nell’abbinamento di immagini e nella creazione di sequenze utilizza il concetto di “disruption”, una tecnica cinematografica che Suter sviluppa stendendo in fila più serie di immagini legate da una sequenza logico-armonica e spezzandola improvvisamente con un’immagine che disturba e interrompe la sequenza; in questo modo crea attenzione e continuità dialettica, allontanando il silenzio.
Nel 2007 porta a conclusione la sua ricerca pubblicando il monumentale “Parallel Encyclopedia”, libro in cui raccoglie e assembla migliaia di immagini e a cui fa seguire, nel 2016, “Parallel Encyclopedia #2”: qui l’approccio è il medesimo ma la complicazione è maggiore perché le risorse a cui attinge – libri, magazine e stampe accumulati nel tempo – sono nel frattempo vertiginosamente aumentati. Della prima raccolta, la seconda conserva l’approccio intuitivo e i salti tra un’immagine e un’altra, ma l’impressione è che ora l’artista eviti certi abbinamenti tipici del primo lavoro, forse giudicandoli troppo semplici.
Mentre nella prima enciclopedia abbondano le immagini d’arte e quelle provenienti da libri sugli argomenti più vari, raccolti di seconda mano nei mercatini, nella seconda enciclopedia le immagini d’arte sono diminuite: il problema del copyright inizia a farsi sentire e diventa invasivo e limitante. Per questo in “Parallel Encyclopedia #2” sono presenti non solo immagini trovate, ma anche fotografie realizzate direttamente dall’artista: mentre le prime sono prevalentemente in bianco e nero, le secondo sono foto a colori.
.
Parlando di Batia Suter il riferimento a Aby Warburg è inevitabile: il suo incompiuto “Mnemosyne Atlas” (iniziato nel 1924 e rimasto incompiuto alla sua morte, avvenuta nel 1929), in cui lo studioso tedesco raccolse immagini dai libri più disparati, segnerà lo sviluppo dell’iconologia. Batia Suter all’inizio del suo percorso non conosce l’opera di Warburg e solo in seguito si rende conto delle potenti similitudini delle due ricerche. Ma mentre l’approccio di Warburg è di tipo storico antropologico, quello di Suter è artistico. Il suo intento, come lei stessa afferma, è produrre nella sequenza un flusso simile a quello di un’onda: è questo che accade nella mente, dice l’artista, quando le immagini scorrono sotto i nostri occhi. Significativa è allora la produzione di Waves (2012), un libro a fisarmonica le cui le foto – prelevate da altri contesti e riposizionare attraverso accostamenti – vengono esposte in orizzontale sul pavimento, a rappresentare proprio il flusso di un’onda.
Suter espone infatti i suoi lavori anche attraverso installazioni: in questo caso il rapporto con lo spazio diviene esso stesso uno strumento artistico. Le immagini diventano una pelle che veste le superfici disponibili, risultato di una processo dialettico che si sviluppa tra immagini e ambiente.
Da non perdere, sul sito dell’artista, la documentazione di queste innumerevoli, spettacolari e spesso inquietanti installazioni: www.batiasuter.org/
Scrivi un commento