Dopo The Afronauts del 2012, di cui abbiamo parlato qui, Cristina de Middel ha sviluppato con il fotografo brasiliano Bruno Morais il lavoro Excessocenus. Due sono i temi che vengono sviluppati: la cultura dell’eccesso che sta portando il pianeta al collasso e la riflessione sul come questo dramma viene rappresentato e comunicato. In fase di progettazione i due fotografi individuano una serie di problematiche ambientali causate da quello che viene chiamato over-consumption – dal riscaldamento globale alla deforestazione – e realizzano di voler rappresentare la mentalità che si cela dietro il problema: la rapacità dei mercati finanziari da una parte, la sessualizzazione delle corpo femminile dall’altra. Dopo aver ricevuto l’assegnazione del Greenpeace Photo Award, Middel e Morais volano in Mozambico dove iniziano a produrre «un tipo di immagini che a prima vista potrebbero sembrare pubblicitarie, ma che presentano un secondo livello di lettura».

L’idea è quella di evitare immagini catastrofiste come quelle che infestano i media, di non rappresentare l’Africa come luogo di carestie e depauperamenti, di rompere cioè il flusso ordinario delle immagini terzomondiste e i cliché dell’assistenzialismo, investendo il soggetto rappresentato di una autonoma volontà di rivalsa.
«Volevamo creare una falsa campagna per il pubblico africano, una campagna che non verrà mai effettivamente realizzata. Questa campagna prende di mira i problemi e le sfide di questo continente, ma li trasforma in agenti delle proprie stesse soluzioni e alla fine della propria rappresentazione. Tutto il progetto si basa anche su un’ironia: l’Africa come epicentro di tutto ciò che può andare storto a livello ambientale. Attraverso l’esagerazione cerchiamo di portare all’assurdo questa premessa».

Immagini stranianti quindi, che hanno per soggetto gli stessi abitanti, coinvolti nel gioco della rappresentazione che, proprio perché gioco, recita al di fuori del comune senso della realtà documentaria, sviluppando un pensiero critico sulla modalità di comunicazione del messaggio. Immagini di capre a due teste e pesci di plastica dentro reticelle per parlare dell’inquinamento dell’oceano, ombrelli bucati per riflettere sull buco dell’ozono, mani che contengono diamanti per alludere allo sfruttamento minerario: ogni immagine con una sua propria didascalia. Una campagna fake invece che un reportage di denuncia. Un sito accompagna la realizzazione progettuale, senza menu e dove per accumulazione si misurano gli eccessi reali in modalità virtuali (attendete qualche minuto che si carichi, prima di fuggire: rimarrete sorpresi). Quaranta immagini sono invece in mostra fino al 7 aprile al prestigioso Coalmine institution a Winterthur, Svizzera.