Il Baretto consiglia caldamente la visione di “CORPUS DOMINI – Dal corpo glorioso alle rovine dell’anima”, la grande mostra a Palazzo Reale di Milano, dal 27 ottobre 2021 al 30 gennaio 2022, con la curatela di Francesca Alfano Miglietti (FAM)
Concepito inizialmente come un progetto sulla Body Art assieme a Lea Vergine, “Corpus Domini” prende una strada diversa, allargando l’attenzione allo storico passaggio dal corpo vivo, protagonista della Body Art, al corpo rifatto dell’Iperrealismo, al mutamento dei canoni estetici della rappresentazione e alla potente evocazione dell’individuo mediante i suoi resti, le sue tracce, i suoi rivestimenti.
Sono in mostra centoundici opere tra installazioni, sculture, disegni, dipinti, videoinstallazioni e fotografie, realizzate da trentaquattro artisti internazionali.
«C’è un corpo “prima” – dice FAM ad Askanews – che è un corpo vero, ed è quello di Gina Pane e di Urs Luthi, fatto ancora di carne, di sangue, di ferite, di paura, di disturbi mentali e così via. Poi questo corpo diventa perfetto, ma finto, ed è il corpo dell’Iperrealismo. E adesso ci sono le spoglie, soprattutto le spoglie di una categoria umana che sono i poveri, i lavoratori, i migranti, che non hanno diritto a un’immagine».
E del corpo di carne e sangue, del corpo eucaristico che nasce dal dolore, non c’è traccia immediata se non nelle parole dal video-documento di Lea Vergine, nella prima stanza a lei dedicata. Lea Vergine critico d’arte, curatrice-autrice di numerose pubblicazioni, si interessa fin dall’inizio della sua carriera allo sviluppo e alle derive delle avanguardie degli anni 70, arte cinetica, arte programmatica fino a diventare una profonda indagatrice del fenomeno della Body Art: Gina Pane, Abramovich, Orlan, Franko B, Stelarc. Non riuscirà a terminare la progettazione della mostra: muore nell’autunno del 2020 per COVID il giorno dopo la morte di Enzo Mari suo compagno di vita. È commovente e divertente nello stesso tempo, nella prima stanza, alzare lo sguardo dalla bacheca di vetro che raccoglie le sue pubblicazioni e inquadrare con lo sguardo il suo corpo mentre racconta, alternato da filmati di repertorio, le sue relazioni con i giovani artisti che accudiva. Tra una sigaretta e l’altra emergono confidenze agli amici in tono leggero e divertito: racconta di quando era incinta della figlia e di come si fosse ripromessa, per il periodo della gravidanza, di non circondarsi di performance o visioni violente (difficile per un critico che si occupa di Body Art); o di quando la Abramovich, sapendo che non sarebbe comparsa alla sua performance, si offrì di eseguirla direttamente al suo domicilio. Ironica e sorridente, è lei il primo corpo della mostra: il corpo della memoria che si fa parola nell’esposizione dei suoi libri, uno su tutti: “Il corpo come linguaggio. Body art e storie simili” del 1974 (Prearo Editore).
Nella stanza sono appese alle pareti le tracce visive di quel periodo: una serie di ritratti di Urs Luthi e le sequenze fotografiche di Azione Sentimentale (1973), performance in cui Gina Pane si incide il palmo della mano con una lametta dopo aver cosparso l’avambraccio di spine di rose. «L’arte deve dare coscienza: non c’è etica senza estetica (e viceversa) e la bellezza che fa riflettere è molto diversa dalla bellezza che decora. Quando a Lea Vergine chiesero la differenza tra design e arte, rispose che nessuno si è mai commosso per una sedia», dice FAM intervistata da Artribune.
Le immagini dei corpi di Marina Abramovich e Ulay che si scontrano fino allo sfinimento lasciano spazio, nelle sale successive, ad altri corpi in cui la rappresentazione del dolore non si sviluppa in soggettiva con tagli e suture nella carne, ma viene composta nell’alienazione di esseri umani in cera a dimensione naturale, dall’iperrealismo dei “Tourists” di Duane Hanson, o dalla rappresentazione del manufatto umano in cera del filosofo Ludwig Wittgenstein con un uovo nel palmo della mano sinistra, di Gavin Turk (Young British Artist).
Boltansky occupa lo spazio con una grande piramide di abiti abbandonati, avvolti da una luce scura a ricordare l’Olocausto: il corpo diventa simulacro attraverso la memoria. Franko B, performer inglese di origini italiane, abituato a disegnare con i liquidi corporei tracce sulla tela, presenta la scultura di un bimbo riverso su quella che dovrebbere essere la rappresentazione sospesa di una spiaggia, a ricordare l’odissea dei corpi migranti. Il corpo come ribellione e shock, i tagli autoinferti, si riversano in una dimensione dove la coscienza e l’emergenza sociale diventa l’urgenza da comunicare.
Ecco poi le miniature di abiti divisi in tre istallazioni, come piccoli atelier seriali, memorie di corpi minuscoli e assenti da esplorare dall’alto: cade la proporzione 1:1, l’effetto Gulliver è perturbante; si chiama MEN SUITS ed è l’istallazione di Charles LeDray.
Chen Zhen, su una tavola, apparecchia organi interni del corpo umano, ma trasparenti perché realizzati in vetro soffiato: iper-esposizione, fragilità, il corpo dissezionato e rivoltato in mostra come un’antica pratica medica medioevale, alchimia sterile e frangibile.
Alfredo Jaar, artista cileno cresciuto durante la dittatura di Pinochet, sensibile ai temi dei diritti umani, di oppressione e libertà presenta una serie di sei lightbox con immagini di minatori sfruttati nelle miniere d’oro dell’Amazzonia, oro che il governo rivende.
«Qui si parla di umanità, di povertà e corpi che spariscono, per questo ci sono vestiti vuoti e scarpe, fazzoletti e valigie. Io ho lavorato molto con il corpo, nel corso degli anni, e ho visto che ci sono categorie umane che non hanno diritto all’immagine, a un nome, un cognome e una professione: sono i migranti, i poveri, i senzatetto. L’assenza dei loro corpi doveva essere comunicata», racconta FAM.
Oscar Munoz, artista colombiano, usa comporre immagini di visi e corpi usando elementi natural; in “Biografias” sono istallate a terra tre proiezioni che raffigurano visi riprodotti in modalità serigrafica con polvere di carbone che vanno a liquefarsi scomparendo tra i rumori dello scarico della doccia. In “Proyecto para un memorial” i video testimoniano invece la composizione del disegno del viso con un pennello intinto nell’acqua su una lastra di marmo e la sua rapida dissoluzione, per effetto del calore del sole che lo fa evaporare. Entrambe le istallazioni sottolineano la caducità dell’essere umano, il corpo vinto dal tempo e dal processo continuo di trasformazione della materia.
Ne ”Il Muro Occidentale o del Pianto”, Fabio Mauri compone una catasta di valigie di cuoio e legno di varie dimensioni a formare un muro alto quattro metri, in cui è piantata un edera rampicante, a simboleggiare la vita dei migranti e le loro speranze.
Corpi in movimento fermati attraverso scene composte in porcellana, ironiche e pop nell’istallazione spettacolare dell’ultima stanza: è “Mare Mediterraneum”, opera del collettivo russo AES+F. Nove sculture, nove disegni, un video proiettato a raccontare storie paradossali in cui canotti per il salvataggio in mare si riempiono di odalische e corpi di etnie differenti si incontrano sulle stesse piattaforme galleggianti; il tutto osservato da due guardie del corpo in divisa grandezza naturale, opera iperrealista dell’artista scultore Marc Sijan.
C’è tanto altro da scoprire girando tra le stanze di Palazzo Reale, per la ricchezza e la varietà delle attitudini degli artisti coinvolti.
È rappresentata un’evoluzione: dalla ribellione dei corpi arrabbiati tumefatti, grondanti di sangue della prima Body Art (quella che incontrava le prime istanze dall’Azionismo Viennese) FAM scrive un messaggio benevolo di rinascita: il corpo non è nulla se non è sociale, se non guarda oltre le proprie viscere e l’Arte diventa così, tra l’altro, una forma di denuncia e condivisione.
Questa la lista degli artisti esposti: AES+F, Janine Antoni, Yael Bartana, Zharko Basheski, Joseph Beuys, Christian Boltanski, Vlassis Caniaris, Chen Zhen, John DeAndrea, Gino de Dominicis, Carole A. Feuerman, Franko B, Robert Gober, Antony Gormley, Duane Hanson, Alfredo Jaar, Kimsooja, Joseph Kosuth, Charles LeDray, Robert Longo, Urs Lüthi, Ibrahim Mahama, Fabio Mauri, Oscar Muñoz, Gina Pane, Marc Quinn, Carol Rama, Michal Rovner, Andres Serrano, Chiharu Shiota, Marc Sijan, Dayanita Singh, Sun Yuan & Peng Yu, Gavin Turk.
Il catalogo, edito da Marsilio, contiene un saggio della curatrice e i contributi di Vincenzo Argentieri, Franco Berardi “Bifo”, Furio Colombo, Francesca Giacomelli, Gianfranco Ravasi, Massimo Recalcati, Chiara Spangaro, Gino Strada, Moreno Zani.
Scrivi un commento