Il Baretto, prima che la Brexit si compia, indaga a Londra curiosando alla The Photographer’s Gallery per capire quali sono le nuove tendenze della giovane fotografia oltremanica.
TPG New Talent è una piattaforma che permette a persone che non hanno ancora avuto pubblicazioni da terze parti (sono ammessi self publishing) e che non hanno avuto significative esposizioni, senza distinzione di età, UK based, di sottomettere progetti. Il team curatoriale della galleria ne seleziona cinquanta e quest’anno è il fotografo e artista americano Jim Goldberg a indicare otto artisti, esposti nella galleria.
Chi è Jim Goldberg? Fotografo Magnum, professore alla California College of the Arts, vincitore del Deutsche Borse Photography Prize del 2011, definisce la sua poetica in progetti quali Rich and Poor (2003 – 2009), Raised by Wolves (1985 – 95), Open See (2003 – 2009) in cui sviluppa l’indagine sulle culture ai margini della società attraverso un approccio innovativo all’indagine fotografica, usando collage, filmati, testi scritti dagli stessi soggetti indagati, per co-creare una visione del racconto: «Forming a context within which the viewer may integrate the unthinkable into the concept of self». L’espansione della potenza del medium fotografico integrata con diversi sistemi di rappresentazione diventa un criterio importante per la selezione dei progetti. II lavori selezionati, in mostra all’ultimo piano della Photographer’s Gallery, sono influenzati da questo approccio: immagini in movimento, manipolazioni di superfici, collage e processi 3D arricchiscono il semplice uso della fotografia come prelievo del reale.
Si legge nel flyer introduttivo all’esibizione: «The diversity of applicants and their working methodologies, mediums, and materials, gave me hope that artists are certainly not running out of the ideas on how to represent the world – and their places within it – any time soon».
Ecco chi sono e cosa raccontano gli otto artisti selezionati.
Paradisi perduti, luoghi lontani, ci pensa Rhiannon Adam a scovare una parte d’Inghilterra dimenticata con il progetto Big Fence / Pitcairn Island.
Vi ricordate il film gli Ammutinati del Bounty? Prima di tutto è una storia vera, secondo, il film è a lieto fine: i naufraghi irredenti trovano la loro isola dove vivere autonomi e felici. L’isola del film esiste veramente, si chiama Pitcairn è in mezzo all’Oceano Pacifico con un superficie di 4,6 chilometri quadrati, vulcanica, senza spiagge, decisamente inaccessibile. Venuta alla ribalta per un fatto di cronaca nel 2004 (un caso di abuso su minori), conta nel 2015 una popolazione di circa quaranta abitanti. L’artista per tre mesi, vincendo la diffidenza degli abitanti, si è immersa nel loro vivere quotidiano scattando foto, usando polaroid scadute, foto di archivio e registrazioni audio. La curatela della TPG ha installato parte del materiale raccolto costruendo un collage che occupa l’intera parete. Il Baretto consiglia di visitare il sito dell’artista per incontrare da vicino i volti che hanno disegnato l’utopia perduta del Bounty ed emozionarvi. Possibile vi venga voglia di trasferirvi, dovrebbero costruire una pista di atterraggio a breve.
I paradisi non si trovano solamente anche se non esistono, ma si creano. È il racconto che costruisce Chiara Avagliano con il progetto Val Paradiso. Uno spazio immaginario ricostruito scendendo nei meandri della memoria della sua infanzia, una valle incantata, dove potrebbe essere ambientata una fiaba, con al centro un Lago (esistito veramente) la cui acqua si tinge di rosso nei mesi estivi. Sono foto staged, ritratti, riproduzioni in scala del lago magico, che diventa quasi un pozzo mitologico a cui attingere l’ispirazione per immaginare e riportare dal profondo immagini e memoria ricostruita. Italiana classe 1988 ha frequentato il London College of Communication.
Costant Nieuwenhys, architetto e filosofo utopista, crea nel 1950 New Babylon, un progetto di società post rivoluzionaria attraverso disegni, dipinti, ma soprattutto piccoli modelli architettonici, in cui l’uomo ludens, liberato da ogni vincolo sociale-familiare, persegue il fine di spostarsi da uno scenario all’altro per soddisfare le sue sensazioni. Nello scritto del 1953 intitolato “For an Architecture of Situation”, indica come l’architettura stessa diventa uno strumento decisivo per cambiare la vita reale. A New Babylon si ispira Free Acid il progetto di Alberto Feijoo. Combinando collage, libri design e soprattutto modelli abitativi in scala usati nei processi di ingegneria e architettura crea dei luoghi immaginari dove sviluppa l’idea della biografia degli oggetti. Dove sta la fotografia? È nascosta e contaminata: sono piccole immagini, appese alle pareti dei modelli appoggiati sul tavolo dell’esibizione, la fotografia diventa tridimensionale non in sé ma per lo sviluppo dell’idea che la coinvolge. Scaricatevi il pdf per entrare nel mondo delle meraviglie: www.albertofeijoo.net/pdf
La Fotografia diventa nuovamente protagonista come strumento d’indagine e relazione nel progetto SARA di Adama Jalloh. SARA, nella comunità islamica della Sierra Leone, è un rituale sacro in cui parenti e amici si ritrovano al capezzale del defunto per pregare e ricordarlo, offrendo cibo e doni. Rituali intimi e privati non accessibili dall’esterno a chi non è parte dell’enclave religiosa e della famiglia. Adama, tramite il padre, conosce gli Imam locali che gli permettono l’accesso a questi intimi spazi rituali. Le fotografie sono accompagnate da conversazioni audio tra i membri della famiglia in krio (linguaggio creolo della Sierra Leone) e in onglese.
Memories Full of Forgetting è il progetto della giovane fotografa coreana Seungwon Jung: la fotografia diventa materia, scultura da modellare e da agire per replicare il processo della memoria e della perdita, dei ricordi sfilati dal flusso dell’esistenza. L’artista produce fotografie che riproducono frammenti di realtà, fotografie macro in cui la realtà prelevata diventa composizione astratta. Il risultato viene poi stampato su tessuto creando quadri di stoffa di grandi dimensioni. Su questa materia Jung interviene sfilando e rifilando i fili che compongono il tessuto fino ad ottenere delle visioni naturali e incorporee, appese penzolanti alle pareti della galleria. Rimuovendo fili dal tessuto intende rappresentare il processo neurologico della rimozione e della perdita della memoria «… and the imperfect nature of what is left behind».
Nothing is impossibile under the sun è un progetto che Alice Meyers sviluppa da due anni in collaborazioni con i rifugiati e migranti nello spazio di Calais. Niente di nuovo dunque? Cambia l’attitudine il modo di osservare gli strumenti utilizzati: non solo fotografia, ma l’uso di suoni, video, disegni, fotografie dai cellulari provenienti dagli stessi rifugiati. Un approccio etico alla realtà documentaria o di reportage immersivo nello spazio e nel gruppo di persone che l’accoglie. Atto fotografico generativo sviluppato creando situazioni in cui i partecipanti sono essi stessi attori e artisti nella costruzione della rappresentazione che stanno vivendo, per uscire dai cliché dell’immagine quotidiana deturpata dalla riproposizione soporifera della notizia. Indagine che si sviluppa come frammento senza avere la pretesa di consecutio narrativa, perché l’impossibilità della complessità del reale viene accettata come parte rilevante del lavoro stesso.
Giovanna Petrocchi è una giovane artista italiana diplomata presso il London College of Communication con un BA in Photography, attualmente studente per il MA in Visual Arts al Camberwell College of Arts, London. Il progetto esposto all’ultimo piano della TPG si intitola Modular Artefact, Mammoth Remains, and Private Collection. Anche in questo caso la fotografia intesa come immagine prelevata dalla realtà diventa un punto di partenza per la trasformazione della materia nello spazio. Oggetto di studio sono gli archivi museali da cui estrapola oggetti (fotografie) per trasformarli in 3D. Il prelievo della realtà attraverso foto trovate sui libri si trasforma in una resa degli oggetti alla realtà stessa attraverso una ridefinizione degli stessi da superficie a sculture. L’approccio surrealista, la manipolazione degli oggetti, non prevede solo la trasformazione degli stessi in sculture, ma andando oltre, partendo dagli stessi, aggiungendo layers 3d, diventano altro, sviluppandosi con l’aggiunta di parti che ne cambiano la natura originale verso un nuovo senso. Il lavoro vuole far riflettere l’osservatore sui confini delle Istituzioni museali, gli oggetti storici contenuti, liberandoli della loro esistenza storica di memoria trasformandoli in entità fluide e vive in soggetti a processi di migrazione e di scambio.
Tema ricorrente nella sua opera è la combinazione di scenari futuristici e primordiali sviluppata attraverso un interscambio tra processi tradizionali e digitali. (visitate il sito dell’artista).
Miguel Proenca, ultimo artista rappresentato, sviluppa un lavoro di raccolta sul pensiero magico, ovvero sulle tracce che le superstizioni hanno lasciato nella società moderna. Se Thomas Huxley, da lui stesso citato, scrive che «The birth of science was the death of the superstition», con il progetto Behind the Hill l’artista portoghese recupera flyer lasciati sui vetri delle macchine, rimedi magici per la caduta dei cappelli, offerte di trovare l’anima gemella che lo collegano a guaritori spirituali, riti pagani, antichi rimedi naturali a cui la scienza e la modernità hanno voltato le spalle. Colleziona maschere e oggetti propiziatori di fortuna e longevità, cercando di ricreare quel legame con il pensiero primordiale scomparso ma mai dimenticato, per ricostruire un flusso presente tra futuro e passato.
Per finire solo un’umile riflessione. In molti di questi lavori, gli artisti integrano in pure stile postmoderno il materiale fotografico con una serie di strumenti che si aggiungono alla superficie dell’immagine, quali video, modelli architettonici, disegni, pittura, archivi e performance. Arricchiscono il processo per rendere meno lineare il racconto aumentando la complessità della ricezione da parte dell’osservatore. Il processo diventa dunque il senso e la comunicazione un flusso, perché siamo diventati grandi e la realtà non deve essere più semplificata per essere letta, aumentano i sensi e la costruzione del contenuto diventa sempre più una co-costruzione condivisa in cui l’osservatore viene educato a scomporre i frammenti per costruire il proprio puzzle personale, in un atto di trasformazione semantica sempre in movimento.
NOTA
A Padova fino al 27 ottobre, negli spazi monumentali della Cattedrale ex Macello, per non perdere il filo del discorso consigliamo Argo La fotografia italiana emergente, esibizione in cui giovani artisti italiani si confrontano con questo percorso sperimentale e postfotografia, metafotografia e vecchi standard dialogano in conflitto.
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