(English version below)
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Dieci persone del collettivo fotografico Baretto Beltrade si sono accordate per scattare una fotografia al giorno per tutto il mese di novembre 2018, a un orario preciso estratto a sorte (le 13:28) a qualsiasi cosa avessero esattamente di fronte al momento del suono della sveglia che segnalava quell’ora, senza alcuna possibilità di scelta dell’inquadratura, in maniera del tutto meccanica.
Il risultato visivo, una volta stampate le foto e allineate su un muro di 3 metri le linee temporali dei partecipanti, è una sorta di condominio virtuale le cui finestre si affacciano ognuna su quell’istante prefissato ma casuale nell’esistenza di quella specifica persona, mostrando un carotaggio ricorrente di quel flusso. Lo spettatore può osservare la serialità sconnessa e atonale dei tempi di vita e il ritratto involontario che ne esce quando non si può edulcorare il risultato o fingere una bellezza di riporto, ma si cerca di attenersi a quella dei fatti, per quanto insulsi e residuali possano al momento apparire.
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Quando guardi nel mirino di una fotocamera hai infinite possibilità; poi ruotare di un grado, di mezzo grado, di un micron di grado alla volta in tutte le direzioni, destra sinistra alto basso, come in una sfera immaginaria. Infinite posizioni, infinite porzioni di visuale, infinite inquadrature che stabiliscono ognuna le proprie priorità e secondarietà. Quale è meglio, quale è peggio, cosa è giusto e non lo è, cosa è bene, cosa è male? Cosa guardo, cosa escludo? Cosa conta e cosa no? Non hai nessun criterio superiore per stabilirlo, sei nell’oceano senza mappa.
La modernità, o almeno la sua autorappresentazione indulgente, descrive una situazione simile: l’uomo si fa regola di se stesso e stabilisce le priorità senza attenersi a comandamenti stabiliti da un’autorità superiore assoluta. L’infinità delle posizioni possibili, questa vertigine di libertà, occulta però la sua condizione di possibilità. Mentre ruoti di qui e di là cercando il tuo “sguardo unico che ti distingue da tutti gli altri”, sei di fatto ancorato a un perno e non ti puoi spostare da lì. Come nell’ipermercato: puoi spingere il carrello dove vuoi e in ogni direzione di sguardo puoi trovare merci a tua disposizione: sei libero. Tuttavia, a un altro livello, non lo sei: entrando accetti implicitamente tutto l’universo di regole che precede e produce l’ipermercato, e quindi produce anche te. Libertà infinita e rigidità della matrice sono i due poli contraddittori della condizione moderna. L’attenzione a sé, l’autosorveglianza, la cura di sé ne sono l’attuazione pratica.
Il progetto collettivo “Camere separate” prova a mettere in scena questa situazione, fornendo un set di regole, un protocollo, che mira a riprodurre la rappresentazione delle infinite possibilità, nell’impossibilità operativa di scegliere se non quella che il contesto ha stabilito. Come un sistema coordinato di webcam automatiche, “Camere separate” è il prodotto di un autore procedurale e ambientale, invece che psicologico e individuale. L’estetica del progetto prescinde dal gusto personale o dalle velleità espressive: tutto si svolge in una condizione di auto-controllo, di sorveglianza di sé (la sveglia-mannaia), e dà luogo a una documentazione apparentemente “neutrale”, a un’archiviazione digitale sospesa tra l’imprevedibilità da una parte, e un campo di possibilità operative stabilito a priori dalla “macchina collettiva” dall’altra. Una sorta di concerto diffuso, simultaneo e protratto in cui viene letto uno spartito sempre identico, producendo tuttavia un pezzo del tutto imprevedibile (e viceversa).
INFO
“Camere separate” è in mostra al b&b Il noce,
via San Siro 22, Cornaredo (Milano).
Visitabile su appuntamento, tel. 02.93566508
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ENGLISH VERSION
Separeted rooms – A project of automatic photography
Ten people of the photographic collective “Baretto Beltrade” have decided to take one photo a day for 30 days of November 2018. At a time chosen by chance, exactly at 1.28 pm. Photos were taken at whatever they had in front of them at the ring’s alarm, established at that time, without framing at anything. Precisely a mechanical approach. As they saw the photos, they decided to align them as a temporaly line of each partecipant on a wall sized 3 meters long. The visual result was a virtual flat complex, whose windows overlook the established but at the same time random and specific istant of that person, showing a recurring event of that flow. The viewer can only observe the disconnected and atonal seriality of lifetimes and the accidental portrait of the facts’ beauty, however they seem unimportant and dull.
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When you look in the viewfinder of a camera you have unlimited possibilities; so you can turn 1 degree, half degree, a micron of degree in all directions, right and left, top and down, like in an imaginery sphere. Unlimited positions, unlimited parts of visions, unlimited frames. Each one has to settle on its priority and secondary. What’s the best, what’s the worst, what’s right or wrong, what’s good or bad? What do I look at? What do I exclude? What’s matters and what’s not? As you don’t have any important parameter to establish it, you are getting lost. You are in the ocean without a map.
The modernity or almost his indulgent autorepresentation, descrives a similar situation: man takes care of himself and decides his priority without listening to orders settled on by a superior authority. The infinity of the possible positions, this unlimited freedom blocks out the condition of possibility. Meanwhile you are turning here and there, looking for your unique vision that distinguish yourself from the others, you are discovering your staticity, anchored to this desire. And you cannot move. Like in a supermarket: you are free to pull the shopping cart wherever you want and towards all possible visible directions. Everywhere you can find goods at your availability. But upon another level you aren’t free. Coming into a supermarket means that you implicity accept all the rules that precedes and produces the supermarket itself. So you become a product for and of it.
Unlimited freedom and rigidity of the matrix are opposite poles of the modern condition. Self attention, self care and self surveillance are the practical actualization. The collective project “Camere separate” (in english “Separeted rooms”) tries to stage this situation by giving rules, a protocol that reproduces the representation of unlimited possibilities in the operative’s impossibility of choice, however the background’s choice has established. Like as a coordinated system of automatic webcams, “Camere separate” is the product of an autor, who’s not interested in the individual and psycologic aspects but follows the environment (the background) and its rules. Project’s aestethics excludes personal taste and fancy expressions: all occours in a condition of self control, of self surveillance (the alarms’s axe) and it’s an apparently neutral documentation, a digital archiving suspended between unexpectability and a bunch of operative possibilities established from the beginning by the collective machine. A sort of widespread, on going and simultaneous concert, where is read a score that remains forever the same but every time is realized an unpredictable track (and vice versa).
INFO
“Camere separate” is in exhibition at B&B “Il Noce”,
Via San Siro 22, Cornaredo (Milan).
Visitable on appointment, tel. 02.93566508
barettobeltrade.it
barettobeltrade@yahoo.com
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