Il Museum of London, con la patnership del British Journal of Photography, dall’11 maggio all’11 novembre 2018 omaggia la capitale albionica con la mostra London Nights, una serie di duecento immagini dedicate dall’era Vittoriana ai giorni nostri, un racconto serrato di quello che accade alla città quando scendono le ombre della sera. Più di sessanta fotografi sono coinvolti nell’esposizione. Tra i tanti: George Davison Reid, Rut Blees Luxembourg, Bill Brandt, Chloe Dewe Mathews, Bob Collins, Mark Vallée. Non una mostra sulla fotografia, ma esibizione sulla città di Londra notturna divisa in tre sezioni. “London Illuminated”: dove le immagini mostrano spettacolari scene della città illuminata da luci artificiali e da limitate luci naturali: London Bridge e skyline turistici si alternano ad angoli sconosciuti e familiari composti da punti di ripresa alternativi in odore di calda neotopografia. “Dark Matters”: racconta l’aspetto minaccioso notturno della capitale, esaminando come l’oscurità possa evocare sentimenti di paura, solitudine, vulnerabilità rappresentata in scenari reali o immaginati. “Switch On Swiftch Off”: mostra come i Londoners lavorano, riposano si divertono dopo che il sole è tramontato; dai pendolari che tornano a casa, agli atti di euforia e ribellione.
Cosa succede quando la luce naturale scompare e l’oscurità avvolge la città, gli angoli periferici, le persone e le idee? Si accendono le luci. L’oscurità prende a giocare con le luci artificiali delle case, il nine to five si trasforma in fiumi di folla in bianco e nero lungo il corso, gli angoli delle periferie nascoste diventano magici set teatrali illuminati dalla luce arancione dei lampioni. Palazzi grigi pure Estate diventano verticali alberi di natale. Ma non solo: come la notte ispira l’artista nella realizzazione della sua opera? Ritratti, travestimenti, riprese staged. L’esibizione è come un mercato dove è bello passeggiare, dove nell’oscurità tutto ma proprio tutto si trova, una vertigine di genere e di tempo, perché anche la cronologia delle fotografie esposte agisce sullo spaesamento dello spettatore. Le prime luci si spengono con i bombardamenti e le foto di Herber Manson quando mostrano i fumi di St Paul’s distrutta dai bombardamenti. Bill Brandt le cui immagini formano una consistente parte dell’esibizione deliziano in tecnica nei notturni con tempi di esposizione di 15 minuti nel catturare i riflessi delle luci naturali.
Questa è storia e il Baretto ha le sue preferenze. Le serie sui commuters di Nick Turpin, frames nel frame, ritratti di soggetti catturati assorti nei finestrini dei bus o dalla metropolitana avvolti e sospesi nelle luci ipnotiche del viaggio, stanchi e persi tra i loro pensieri. Poi i teatri desolati dei parcheggi abbandonati dei supermercati nelle foto di William Eckersley dalla serie Dark City, le periferie infuocate dalle luci artificiali di David George. Menzione speciale al lavoro di narrative-art di Alexis Hunter che, nella serie Dialogue with a Rapist, rappresenta un fatto realmente accaduto: l’incontro notturno e minaccioso con un potenziale violentatore. Immagini in bianco e nero, il dialogo scritto a mano sotto l’immagine che diventa sempre più serrato.
Il tentativo di dividere il corpus in tre livelli di indagine non è sufficiente a dipanare il caos della varietà delle immagini esposte, neanche a istradarne la potenza: il Baretto consiglia una doppia visita. Buona visione.
Scrivi un commento