Queste fotografie raccontano i percorsi dell’autore sulle sue montagne: Verbano (i dipinti) poi Dolomiti, Lagorai, Capo di Noli, Vallese, Slovenia.

Subito colpisce la resa nebbiosa e impalpabile che per paradosso, invece di attenuare, intensifica la sensazione di duro e pietroso che viene da questi paesaggi mentali. Colpisce il contrasto: duro, pietroso ma insieme evanescente. Le immagini sembrano sul punto di scomparire, come i fotogrammi di una dissolvenza. L’occhio le afferra e le trattiene un attimo prima che ritornino nel nulla. La vista deve quasi sforzarsi per mettere bene a fuoco, per compensare il difetto di nitidezza, e in questo modo è costretta a non dare l’immagine per scontata, ma ad aguzzarsi per cogliere l’insieme e i particolari. Un’immagine troppo nitida, in fondo, è un’immagine che si nasconde: troppo facile per l’occhio, che la sorvola con  uno guardo veloce. Un’immagine poco nitida, invece, richiede con forza attenzione, e forse per questo si rivela con molta più ricchezza.

Di solito, per “immagini astratte” si intendono delle immagini che astraggono dalla forma e che non si pongono nessuno scopo rappresentativo nei confronti del reale. Qui l’astrazione si manifesta come attenuarsi delle forme e dei colori, come un farsi indietro dell’evidenza del mondo, il suo distanziarsi in una dimensione diversa, che sembra quella del sogno o del ricordo lontano. Come se in questo modo si potesse far riacquistare alla natura una sorta di purezza, non quella selvaggia e ancestrale, ma quella del suo legame con la spiritualità.

E insieme alla natura, intrecciata e non distinta, c’è l’opera dell’uomo. Le pitture a tema religioso delle piccole cappelle di montagna, spesso corrose dal tempo, le figure che tornano al loro substrato di materia, pietra, polvere. Si scorgono le mani e i volti dei personaggi dipinti in modo così semplice, ingenuo, che commuovono. Lo sguardo si focalizza sui particolari, che astraggono la pittura dalla sua funzione educativo-didascalica, quindi storica e immanente e le fanno assumere il ruolo di semplice segno che indica oltre se stesso.

La narrazione pare volta a un rimembrare, a un trarre dalla nebbia indistinta del passato le tracce sbiadite dei ricordi, dei volti dipinti, e questi ultimi, mentre i paesaggi si estendono all’orizzonte, non possono che appuntarsi ai dettagli. Paesaggi di una natura spiritualizzata e particolari di scene sacre comunicano insieme. Nell’unione, si crea un’apertura di senso che trascende l’immanenza dell’immagine. È una natura sublimata in spirito, affinché lo spirito la possa riconoscere e connettersi.

L’autore: Stefano Canetta

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